Tutte le neoplasie della mammella derivano dallo sviluppo e dalla moltiplicazione anomala di alcune cellule della ghiandola mammaria. La mammella è costituita da tre elementi principali che sono: la ghiandola (immersa nel tessuto adiposo di sostegno), la cute ed il complesso areola capezzolo. E’ costituita da circa 15-20 unità separate (lobuli), ognuna delle quali termina con un proprio dotto galattoforo a livello del capezzolo; in altre parole possiamo immaginare la ghiandola mammaria come un grappolo d’uva formato da circa 15-20 gruppi di acini separati. Ogni acino corrisponde ad un lobulo, all’interno del quale viene prodotto il latte, che viene successivamente veicolato al capezzolo attraverso i dotti galattofori. La mammella, così come tutti gli organi e gli apparati, gode di un sistema di vascolarizzazione arteriosa e venosa, di una innervazione e di una rete di drenaggio linfatico. I vasi linfatici sono dei sottili condotti (simili alle vene nell’aspetto), che trasportano un liquido detto “linfa”. Quest’ultima si presenta come un liquido chiaro, e contiene i prodotti di rifiuto dei tessuti (i cosiddetti cataboliti) e del sistema immunitario. La rete linfatica assomiglia ad una “catena di rosario”, pertanto i dotti linfatici riversano la linfa in piccole strutture nodulari dette linfonodi (o ghiandole linfatiche). Nel cavo ascellare è situata la stazione linfatica della mammella, ed è in questa sede che compaiono normalmente le prime metastasi linfonodali, in seguito alla comparsa di un tumore.
Il tumore della mammella è la neoplasia più diagnosticata nelle donne. Nel 40% dei casi colpisce la fascia d’età tra i 20 e i 50 anni, nel 35% dei casi viene diagnosticato tra i 50 e i 70 anni e nel 20% dei casi colpisce donne oltre i 70 anni.
Nella maggior parte dei casi esordisce in maniera asintomatica e la diagnosi di sospetto è posta dagli esami strumentali (Rx mammografia ed ecografia mammaria) che tutte le donne dovrebbero fare dai 40 anni in poi (screening tumore mammella). Altre volte esordisce con la comparsa di un nodulo palpabile dalla paziente stessa (autopalpazione). Per poter individuare prontamente un eventuale tumore della mammella è raccomandato che tutte le donne eseguano periodicamente l’autopalpazione. La diagnosi preoperatoria di certezza viene posta con la biopsia che permette l’esecuzione di un esame istologico e, nei tumori di dimensioni superiori al centimetro, anche la possibilità di studiarne il profilo ormonale. La conoscenza del profilo ormonale (carta d’identità del tumore) consente di poter stabilire la sequenza del corretto percorso terapeutico (chirurgia/chemioterapia/ormonoterapia).
Le neoplasie della mammella sono suddivise in due grandi gruppi: i carcinomi in situ e i carcinomi invasivi. Le neoplasie in situ possono aver origine dai lobuli, gli acini del grappolo d’uva precedentemente descritto (carcinoma lobulare) o dai dotti (i rami del grappolo d’uva). Viene definito in situ perché le cellule neoplastiche hanno sviluppo solo nei dotti e non infiltrano il tessuto circostante. La forma lobulare in situ si sviluppa e cresce all’interno del lobulo, è spesso multifocale e bilaterale ma non è considerata come maligna ma come “a rischio”. La diagnosi di carcinoma duttale in situ viene fatta con la biopsia sulla guida della mammografia che può evidenziare piccole microcalcificazioni. Il carcinoma invasivo è in genere un adenocarcinoma e nell’80 % dei casi è di tipo duttale infiltrante, ossia ha superato la parete dei dotti e ha infiltrato il tessuto circostante.
Il trattamento del tumore della mammella è oggi affidato a una equipe multidisciplinare dove, affianco al chirurgo senologo, condividono e stabiliscono il corretto percorso terapeutico il chirurgo plastico, l’oncologo, il radiologo, il radioterapista, l’istologo, il nutrizionista e non da ultimo lo psicologo (Breast Unit).
L’intervento chirurgico può variare in diretta dipendenza alla natura del tumore (carta d’identità) e alla sua localizzazione. Certamente sono determinanti nella scelta del trattamento anche l’età della paziente e le eventuali comorbilità, ossia tutte quegli stati patologici che influenzano il benessere della paziente stessa (diabete, cardiopatia, obesità, fumo, etc). Nella maggior parte dei casi è indicato un intervento chirurgico di resezione limitata della ghiandola, mantenendo i margini di resezione dalla neoplasia di almeno 5 mm. Il trattamento di questo intervento chirurgico, chiamato quadrantectomia, viene completato con la radioterapia, utile alla sterilizzazione della ghiandola restante.
Più raramente è necessario eseguire un’asportazione totale di tutta la ghiandola mammaria, la mastectomia. Le vecchie mastectomie, molto aggressive, sono state sostituite da interventi cosiddetti “conservativi” durante i quali si conserva tutto il mantello cutaneo con il complesso areola capezzolo. In questo caso il chirurgo plastico ricostruisce immediatamente la mammella posizionando una protesi mammaria e la paziente esce dalla sala operatoria con la mammella già ricostruita. Quando invece la sede e le caratteristiche della neoplasia non possono garantire la conservazione del complesso areola capezzolo il chirurgo plastico posiziona un espansore cutaneo, atto a ricostruire il mantello cutaneo. In questo caso però la ricostruzione necessita di un secondo tempo operatorio per la sostituzione dell’espansore cutaneo con la protesi mammaria.